Ieri mattina durante una passeggiata in paese sono passata davanti al verduraio e i miei occhi si sono soffermati per qualche minuto su una cesta di peperoni gialli bellissimi..ed è nata l'idea per il piatto di questa domenica: una parmigiana di peperoni, melanzane, zucchine e patate. Ho voluto apportare una variante alla ricetta classica: non ho fritto le verdure ma ho usato due metodi di cottura diversi, la piastra e il forno e questo ha reso il piatto molto più leggero!
Ingredienti:
- 2 melanzane
- 2 zucchine
- 2 peperoni gialli
- 1 patata grande
- 500 gr di passata di pomodoro
- 1 cipolla
- 100 gr di parmigiano grattugiato
- 2 mozzarelle
- sale, pepe
- olio extravergine d'oliva
Accendere il forno a 200°. Lavare tutte le verdure. Tagliare le melanzane a fette alte mezzo cm, cospargerle di sale e lasciarle spurgare per un'ora. Soffriggere la cipolla tritata con un po' d'olio, unire la passata , un pò di sale, un pizzico di zucchero e cuocere per 20 minuti. Tagliare le zucchine a fette alte mezzo cm e grigliarle. Cuocere allo stesso modo anche le melanzane lavate e asciugate. Tagliare i peperoni a fette e metterli su una lacca da forno ricoperta da carta forno, condirli con un filo d'olio, sale e pepe e infornare per 20 min. Pulire la patata e tagliarla a strisce sottili con il pelapatate. Mettere a bollire le strisce ricavate in acqua salata per 15 minuti. Quando tutte le verdure saranno cotte potete decidere di fare un' unica parmigiana o tante piccole porzioni, come ho fatto io, utilizzando degli stampini. In entrambe i casi procedere in questo modo: irrorare il fondo della teglia scelta con un po' di sugo di pomodoro, distribuire uno strato di mozzarella, un cucchiaio di parmigiano, melanzane, zucchine, patate, peperoni, sale e pepe, un po' di grana grattugiato, altro sugo e qualche fettina di mozzarella. Continuare a strati fino a esaurire gli ingredienti e terminare con abbondante grana. Irrorare il tutto con un filo d'olio e cuocere in forno a 180° per 40 minuti.
Song: " Jimmy The Exploder"
Nel 1994 Megan Martha White serve da bere in un bar di Detroit, John Anthony Gillis la vede ed è amore a prima vista. Due anni dopo si sposano e John decide di prendere il cognome di lei, trasformandosi, così, nel suo alter ego più famoso, Jack White. Meg inizia a suonare la batteria per gioco e qualcosa scatta nella testa di Jack..Nascono, così, gli White Stripes. Nel 1999, Jack e Meg White pubblicarono il loro album di debutto omonimo,dedicato a Eddie James "Son" House, Jr, figura predominante del genere delta blues e introducendo un nuovo ed esplosivo mix di punk, blues e garage rock. Jack ha descritto l'album come "..il disco più sonoro, il più potente e il più vicino al suono di Detroit che abbiamo fatto”. Alcune band hanno bisogno di fare 2-3 album prima di trovare il sound giusto, maturo e vendibile. “ The White Stripes” è una di quelle eccezioni che confermano la regola: parte "Jimmy the Exploder" e ti troverai a fare headbang involontariamente.. la canzone è incredibilmente accattivante, il riff principale, per quanto semplice, è geniale, e non sarai in grado di tirarlo fuori dalla testa. Jack White era già molto bravo a suonare la chitarra quando hanno registrato questo album usa un sacco di inflessioni intenzionali dei toni , c'è una grande varietà di timbri tra cui twangy, scratchy, nasale e percussivo. Il drumming di Meg è semplice e ha un ritmo leggermente imperfetto. L'intero album suona come se Jack White fosse nel tuo garage in un caldo pomeriggio domenicale, con un amplificatore e ti regalasse una sessione live assieme alla sua Meg .La registrazione sembra asciutta, con poca eco. Ci sono alcuni sibili e graffi, come ci si potrebbe aspettare su un disco in vinile di 20 anni fa. Questo perchè l’album viene registrato interamente nell'appartamento degli White, conferendo al tutto un approccio lo-fi. Il disco è in sostanza un’omaggio rock-garage di Jack White a quel blues degli anni ’30 che tanto ama, e questo emerge in pezzi come "Stop Breakin' Down", cover di Robert Johnson. Nel disco emergono anche brani alla Led Zeppelin, come "Suzy Lee" o "Sugar Never Tasted So Good" o “John the Revelator”. E poi si passa al rock’n’roll anni ’50 con "Wasting My Time". "Astro", "Broken Bricks" e "When I Hear My Name" ti stravolgono per portarti ad un’altra cover: "One More Cup Of Coffee", di Bob Dylan che ti fa rallentare i battiti per qualche minuto..l’album si conclude con un blues languido, "I Fought Piranhas", lasciandoti la voglia di continuare nella scoperta degli album di quello che per me è uno dei pochi geni nel panorama musicale degli ultimi vent’anni.
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