La ricetta di questa domenica è perfettamente abbinata alla band che l'accompagna, un mix di fresco, cremoso, saporito e piccante che stuzzichera il vostro palato!
Ingredienti:
- 350 g orecchiette
- 10 pomodorini piccadilly
- 1 spicchio d’aglio
- 6 filetti di acciughe sott’olio
- 150 g mozzarella di bufala
- olio d’oliva EVO
- 1 cucchiaio abbondante di granella di mandorle
- 10 asparagi
- sale q.b.
- peperoncino q.b.
- pepe q.b.
Tagliate gli asparagi
in piccoli pezzi e metteteli a bollire in acqua salata. Mettete a bollire l’acqua
per le orecchiette. Nel frattempo tagliare l’aglio a fettine sottili e
mettetelo a soffriggere in padella a fuoco basso, con i filetti di acciughe e
un filo d’olio. Tagliate i pomodori a cubetti e aggiungeteli in padella. Amalgate
bene il tutto e una volta cotti aggiungete gli asparagi e un mestolino di acqua
di cottura della pasta. Quando il sughetto si sarà ben amalgamato aggiungete il
peperoncino ( a ognuno la sua quantità ideale..se vi piace piccante, abbondate
altrimenti ne basta un pizzico!) Far cuocere le orecchiette e una volta pronte
travasatele nella padella col sugo e aggiungete la mozzarella spezzettata
grossolanamente con le mani. Fate saltare per qualche secondo e servite
aggiungendo la granella di mandorle..
Song: "The Lemon Song" Led Zeppelin
L’uscita di “Led
Zeppelin I” aveva lasciato dietro di se un eco di consensi notevole: l'album
d'esordio dell'omonima band era andato ben oltre il successo sperato, portando
il quartetto britannico da un relativo anonimato alla fama mondiale in poche
settimane. Dal momento che gli Zeppelin, primo fra tutti il loro manager Peter
Grant, sapevano bene che la potenza e la personalità della band si esprimevano
soprattutto negli spettacoli dal vivo, il periodo successivo l'uscita del primo
disco fu seguito da un'epopea di concerti tra Europa e Stati Uniti. In
particolare, da giugno ad agosto gli Zeppelin si esibirono in quattro tour
europei e tre negli States, per decine e decine di date, talvolta più di una in
un giorno. Fu in quel periodo di iperattività che "Led Zeppelin II" ,
il secondo album in studio della band di Jimmy Page, venne composto e
registrato. Rispetto al primo disco, che a quanto ci dice lo stesso Page era
stato registrato in appena 30 ore, per questa seconda fatica occorsero circa
otto mesi di lavorazione, spezzettati tra le interminabili date ed i
conseguenti viaggi in pullman ed in aereo, le sbronze, le groupies e tutto il
resto. Tutto questo “movimento” rende Led Zeppelin II probabilmente il miglior
disco del primo periodo, il "vero" disco d'esordio dei Led Zeppelin.
Le basi rimanevano blues, ed ancora anzi più di prima Page e Plant attingevano
a piene mani dal solito bacino musicale. Per usare un eufemismo, a dire il
vero: titoli, testi, melodie vennero "saccheggiati" un po' ovunque ai
soliti bluesman di fiducia, rielaborati o perfino riproposti pari pari. Un
giochino che costò agli avvocati della band tanta fatica e tanti soldi, cause
spesso vinte ed altre giustamente perse, come quella con Willie Dixon. Tutto
ciò non significa che Led Zeppelin II fosse un album derivativo, anzi. La sua
personalità è unica e si distacca totalmente dalle fonti di ispirazione. Ma
soprattutto, usando un minimo di senno di poi, o anche solo approfondendo
l'analisi di quel particolare periodo storico e culturale, musicalmente
parlando, "rubare" impudicamente dal repertorio di autori classici
non fu affatto un errore da parte dei
Led Zeppelin, e nemmeno una grande infamia. Andrebbe infatti ricordato che tra
la fine degli anni '60 e tutti gli anni '70 era pressoché la regola avere
qualche causa aperta per plagio (nel blues poi, era quasi tradizione), ed ogni
band o artista che si rispettasse era costantemente impegnata in un lavoro di
revisionismo atto a cercare nel passato la chiave per il futuro. I Led Zeppelin quella chiave l'avevano trovata, ed è in
virtù di ciò che il costante confronto con i capisaldi storici del loro sound
era stato non solo necessario, ma essenziale, per loro e per il rock. Insomma,
plagio o no, Led Zeppelin II è un album riuscito in pieno, come dimostrano sia
le vendite, sia l'immortalità di molti dei suoi brani. Le ragioni di un così
buon lavoro in un contesto tanto caotico sono molteplici, e vanno ricercate
tanto nelle persone che vi lavorarono quanto negli spazi e nei tempi in cui
dovettero agire. Il primo motivo è presto detto: i concerti live. Fu proprio il
continuo lavoro sul palco l'energia ed il nutrimento per il secondo album,
nulla di cui stupirsi per una band che aveva fatto della sua capacità di
fomentare il pubblico la propria carta di identità. Fin dal primo album,
addirittura lo studio di registrazione veniva preparato da Page allo scopo di
catturare una sonorità che sembrasse suonata dal vivo. Grazie al continuo suonare
davanti ad una folla inneggiante, grazie alle baldorie, grazie al sesso ed agli
eccessi, Led Zeppelin II risente di una purezza, di una grezza e genuina
potenza che esprime esattamente quello spirito che i 4 rappresentavano, e che
tenevano a far cogliere al loro sempre più vasto pubblico; anche
le improvvisazioni sul palco e le sperimentazioni estemporanee di quelle serate
indiavolate, avrebbero profondamente segnato la personalità dell'album,
rendendolo unico e maledettamente graffiante. Un altro motivo che contribuì a rendere l'album quasi
perfetto e degno di essere considerato il "vero disco d'esordio degli
Zeppelin", fu la partecipazione. Con questo termine intendo sia
l'affiatamento tra i quattro musicisti britannici che una più generica alchimia
tra di loro, ma soprattutto una oggettiva partecipazione di ognuno di essi alla
realizzazione di ogni aspetto del disco. Se infatti i Led Zeppelin erano ancora
la "creatura" di Jimmy Page, è anche vero che le intense settimane e
mesi passati a suonare insieme, fin dalla primissima formazione come New
Yardbirds, avevano creato un profondo spirito di corpo, una maturazione
artistica sia individuale che collettiva che non si sarebbe fermata fino alla
morte di Bonzo. A differenza del primo album, su Led Zeppelin II non c'è un
solo brano scritto unicamente da Page; tutti i pezzi vedono la partecipazione
alla composizione di almeno uno dei membri del gruppo oltre a Jimmy, talvolta
Robert Plant, ma più spesso tutta la band, nessuno escluso. Tutto ciò, fatta
eccezione per Bring It on Home, attribuita al solo Willie Dixon, anche se
giustamente rivendicata anche dagli altri Zeppelin in successive versioni.
L'album contiene molte
metafore sessuali. Robert Plant dice: "Led Zep II era molto virile. Quello
era l'album che stava per dire se avevamo o meno il potere di mantenimento e la
capacità di stimolare. Era ancora blues-based, ma era un approccio molto più
carnale alla musica e piuttosto brillante. È stato creato in corsa tra camere
d'albergo e le GTO, e questo direi che è abbastanza.. '". Ad aprire il disco, una brevissima risata e un semplice riff di
tre sole note. Saranno proprio quelle tre note a far entrare i Led Zeppelin
nella leggenda. Il brano è "Whole Lotta Love", destinata a diventare
uno degli inni per antonomasia del rock. Sorretto quasi totalmente da quel
riff, evolve nella parte centrale in un baccanale rumoristico, tra percussioni
tempestose, deflagranti distorsioni di chitarra e le urla viscerali e istintive
di Plant. ecco le palesi "scopiazzature": la opener è ripresa da
"You Need Love" di Willie Dixon (1962), e il terzo brano "The
Lemon Song", blues lento e pesante, ma dalle improvvise impennate hard, da
"Killing Floor" di Chester Burnett alias Howlin' Wolf. Il testo
presenta ancora tendenze misogine, citando una celebre metafora sessuale di Robert Johnson:
"Strizza il mio limone/ fino a quando non mi scende il succo lungo le mie
gambe/ Se non strizzi il mio limone/ ti caccerò a calci dal letto". A
questo testo si oppone quello di "Thank You", ballata con organo in
evidenza, in cui Plant, nel primo testo scritto per il gruppo, omaggia la
moglie. Il primo lato è completato dalla delicatezza acustica di "What Is
And What Should Never Be", in cui emergono anche tendenze jazzistiche.Il lato B si apre con un altro capolavoro,
"Heartbreaker", bignami per ogni successivo chitarrista, grazie
all'assolo centrale privo di accompagnamento, che sperimenta uno dei primi tapping
della storia. Sorvolando sulla piacevole e aggressiva "Living Loving Maid
(She's Just a Woman)", le ultime tre perle dell'album sono le arrembanti
"Ramble On" e "Bring It On Home": semi-folk la prima, in
bilico tra languori acustici e scatti hard-rock, e blueseggiante (con
tanto di armonica a bocca suonata da Plant) la seconda, e, tra queste due, lo
strumentale "Moby Dick", contenente uno degli assoli di batteria più
celebri della storia… Il design della copertina fu opera di David Juniper, al
quale la band aveva semplicemente chiesto di "tirare fuori un'idea
interessante". Juniper era un ex compagno di studi di Page alla Sutton Art
College nel Surrey.La grafica della copertina si basò su una fotografia
della Divisione Jagdstaffel 11 della Luftstreitkräfte durante la prima guerra
mondiale, la famosa squadriglia volante capitanata dal celebre "Barone
Rosso". Dopo aver colorato la foto, le facce dei quattro membri della band
furono aerografate sui volti originali presi da una pubblicità del 1969. Gli
altri visi aggiunti, secondo Juniper, furono Miles Davis o Blind Willie
Johnson, un amico di Andy Warhol (possibilmente Mary Woronov) e l'astronauta
Neil Armstrong, anche se in realtà si tratta dell'astronauta Frank
Borman.
il tuo blog è veramente originale, mi piace molto l'idea di accoppiare cibo e musica..ogni domenica aspetto la nuova ricetta con la recensione, complimenti anche per la ricerca musicale! Stefano
RispondiEliminagrazie mille Stefano!!!
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